In Internet adocchiate un televisore di nuovissima generazione, proprio come lo desideravate da tempo. E poichè il prezzo è vantaggioso, lo ordinate immediatamente ed effettuate il pagamento con la carta di credito. Dal successivo estratto conto della carta di credito vi rendete conto, però, che il venditore vi ha addebitato un prezzo più alto di quello pattuito...
O ancora: su un portale di vendita tedesco avete visto una mountainbike che vi piace molto, quindi la ordinate subito e pagate con la carta di credito. Il venditore però, dopo l'acquisto, vi comunica che la bicicletta non può essere più consegnata e vi promette da mesi la restituzione del prezzo, della quale siete ancora in attesa. In questi casi dovreste assolutamente valutare la possibilità di un "chargeback".
Il cd. "chargeback" consiste nel riaccredito, da parte della società emittente della carta di credito, della somma contestata dal consumatore. Così, in caso di addebiti non autorizzati o inesatti (ad es. nei casi di abusi, di doppi addebiti ovvero dell'addebito di un importo maggiore di quello autorizzato) ci si può rivolgere direttamente alla propria banca e alla società emittente della propria carta di credito per chiedere lo storno dell'addebito e quindi pretendere la restituzione delle somme indebitamente imputate. Presupposto per il chargeback è, in ogni caso, il pagamento della merce o del servizio tramite carta di credito.
Ricorrere al chargeback è un'ottima soluzione anche per recuperare il prezzo pagato per una merce che non viene mai consegnata, e persino nel caso in cui il venditore è insolvente o l'azienda viene dichiarata in fallimento – ciò per evitare di dovere rincorrere il proprio denaro per mesi.
Dal momento che sempre più consumatori acquistano su Internet con carta di credito, la Rete dei Centri Europei Consumatori (ECC-Net) ha effettuato nel 2014 un'indagine sul chargeback nei singoli Stati dell'Unione Europea, in Islanda e in Norvegia.
Tale studio ha evidenziato che la legislazione sul chargeback nei singoli Stati è molto diversa: solo 6 Stati membri (tra cui non compare l'Italia) hanno predisposto una normativa specifica per i casi in cui la merce o il servizio ricevuto non sono conformi a quanto pattuito; mentre i restanti 21 (tra i quali rientra l'Italia) dispongono di una normativa che regola i casi in cui il venditore addebita al consumatore una somma più alta di quella pattuita. Per quanto riguarda i termini, entro i quali poter avanzare una richiesta di chargeback, le legislazioni nazionali si differenziano notevolmente: in Danimarca, ad esempio, è previsto un termine di soli 14 giorni dall'addebito non autorizzato, mentre in altri Paesi (come, ad es. l'Islanda) vige un termine di 8 settimane dall'avvenuto addebito della somma contestata, ed in altri ancora (tra cui l'Italia) il termine è persino di 13 mesi.
In alcuni Paesi dell'Unione Europea è possibille richiedere un chargeback anche se il pagamento è stato effettuato tramite una cd. carta di debito (tra queste rientrano anche le carte Bancomat); in Italia tuttavia, questo non è possibile.
Il legislatore italiano ha previsto con il decreto legislativo n. 11/2010 che, non appena ci si accorga di un addebito non autorizzato, bisogna rivolgersi alla propria banca e alla società emittente della carta di credito. In ogni caso bisogna effettuare tale segnalazione entro 13 mesi dall'avvenuto addebito. La banca è tenuta a riaccreditare immediatamente la somma al consumatore. Nei casi di un motivato sospetto di truffa, la banca può tuttavia sospendere il riaccredito, ed anche dopo averlo eseguito, può sempre dimostrare che il consumatore aveva autorizzato consapevolmente quell'addebito, avendo diritto a pretendere da questo la restituzione della somma contestata.
L'indagine effettuata dalla Rete ECC ha messo in luce l'effettività ed utilità del chargeback per il consumatore, che in assenza di questo strumento perderebbe con ogni probabilità anche ingenti somme di denaro, ad esempio in conseguenza di comportamenti fraudolenti da parte dei vendotori, e come ad esempio può avvenire qualora il consumatore scelga di pagare mediante bonifico bancario.
I risultati integrali di tale ricerca sono pubblicati in lingua inglese sul sito dei nostri colleghi del CEC norvegese. Per ulteriori informazioni non esistate a contattare il CEC ai seguenti recapiti: tel. 0471/980939, email info@euroconsumatori.org.
Bolzano, 20.10.2015
Comunicato stampa
Il cd. "chargeback" consiste nel riaccredito, da parte della società emittente della carta di credito, della somma contestata dal consumatore. Così, in caso di addebiti non autorizzati o inesatti (ad es. nei casi di abusi, di doppi addebiti ovvero dell'addebito di un importo maggiore di quello autorizzato) ci si può rivolgere direttamente alla propria banca e alla società emittente della propria carta di credito per chiedere lo storno dell'addebito e quindi pretendere la restituzione delle somme indebitamente imputate. Presupposto per il chargeback è, in ogni caso, il pagamento della merce o del servizio tramite carta di credito.
Ricorrere al chargeback è un'ottima soluzione anche per recuperare il prezzo pagato per una merce che non viene mai consegnata, e persino nel caso in cui il venditore è insolvente o l'azienda viene dichiarata in fallimento – ciò per evitare di dovere rincorrere il proprio denaro per mesi.
Dal momento che sempre più consumatori acquistano su Internet con carta di credito, la Rete dei Centri Europei Consumatori (ECC-Net) ha effettuato nel 2014 un'indagine sul chargeback nei singoli Stati dell'Unione Europea, in Islanda e in Norvegia.
Tale studio ha evidenziato che la legislazione sul chargeback nei singoli Stati è molto diversa: solo 6 Stati membri (tra cui non compare l'Italia) hanno predisposto una normativa specifica per i casi in cui la merce o il servizio ricevuto non sono conformi a quanto pattuito; mentre i restanti 21 (tra i quali rientra l'Italia) dispongono di una normativa che regola i casi in cui il venditore addebita al consumatore una somma più alta di quella pattuita. Per quanto riguarda i termini, entro i quali poter avanzare una richiesta di chargeback, le legislazioni nazionali si differenziano notevolmente: in Danimarca, ad esempio, è previsto un termine di soli 14 giorni dall'addebito non autorizzato, mentre in altri Paesi (come, ad es. l'Islanda) vige un termine di 8 settimane dall'avvenuto addebito della somma contestata, ed in altri ancora (tra cui l'Italia) il termine è persino di 13 mesi.
In alcuni Paesi dell'Unione Europea è possibille richiedere un chargeback anche se il pagamento è stato effettuato tramite una cd. carta di debito (tra queste rientrano anche le carte Bancomat); in Italia tuttavia, questo non è possibile.
Il legislatore italiano ha previsto con il decreto legislativo n. 11/2010 che, non appena ci si accorga di un addebito non autorizzato, bisogna rivolgersi alla propria banca e alla società emittente della carta di credito. In ogni caso bisogna effettuare tale segnalazione entro 13 mesi dall'avvenuto addebito. La banca è tenuta a riaccreditare immediatamente la somma al consumatore. Nei casi di un motivato sospetto di truffa, la banca può tuttavia sospendere il riaccredito, ed anche dopo averlo eseguito, può sempre dimostrare che il consumatore aveva autorizzato consapevolmente quell'addebito, avendo diritto a pretendere da questo la restituzione della somma contestata.
L'indagine effettuata dalla Rete ECC ha messo in luce l'effettività ed utilità del chargeback per il consumatore, che in assenza di questo strumento perderebbe con ogni probabilità anche ingenti somme di denaro, ad esempio in conseguenza di comportamenti fraudolenti da parte dei vendotori, e come ad esempio può avvenire qualora il consumatore scelga di pagare mediante bonifico bancario.
I risultati integrali di tale ricerca sono pubblicati in lingua inglese sul sito dei nostri colleghi del CEC norvegese. Per ulteriori informazioni non esistate a contattare il CEC ai seguenti recapiti: tel. 0471/980939, email info@euroconsumatori.org.
Bolzano, 20.10.2015
Comunicato stampa
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